MOSTRARE SENZA MOSTRARE
L’origine dell’Universo, l’inizio della Vita, il suo passato e il suo futuro.
Questi sono i temi che indago nella mia opera recente.
L’ambiente naturale costituisce il mio riferimento costante: alberi, boschi, prati, alghe, germogli, forme organiche in evoluzione. Immagini ambigue tra il vegetale e l’animale, abissi e fossili. Tutte le mie opere recenti hanno un’aurea misteriosa, incerta, antica.
Nel mio lavoro voglio non essere descrittivo, letterale, ma mostrare il soggetto in modo indiretto, suggerendo forme organiche prive di dettagli, costituite di puro colore. Immagini ambigue, dense di suggestioni, ottenute con l’accumulazione di segni, si raccontano attraverso la sola creazione di sensazioni e l’uso di simboli, stimoli all’immaginazione.
La numerazione progressiva a sei cifre, corrispondente alla data in cui l’opera è stata ultimata, è diventata con il tempo una sorta di marchio identificativo che ha sostituito la firma.
Mi interessa molto il rapporto tra la superficie delle opere e la profondità suggerita dalla composizione. Già agli inizi degli anni ’90 ho creato una serie di opere intitolate “Nulla è più profondo della superficie” riprendendo una citazione di Gilles Deleuze: la superficie dei miei quadri mi rappresenta quanto la profondità in essi cercata.
La forma e il colore ricreano il senso di profondità senza ricorrere all’uso della prospettiva.
La tecnica e i materiali scelti per la realizzazione delle mie opere sono sempre connessi al tema che affronto. Un corpo a corpo con la materia del pigmento e degli altri elementi naturali come le sabbie silicee e le argille.
Importante resta il gesto, la “registrazione” fedele del movimento del braccio e della mano che generano il Segno: nessun ritocco alle mie opere; la ritengo una forma di “onestà”.
Utilizzo quasi sempre formati grandi perché l’osservatore “entri” nell’opera e ne sia dominato. Produco personalmente i colori per ottenere la “granatura” e la fluidità desiderata.
Recentemente, in occasione di una visita nel mio studio, un curatore del LAC (Lugano Arte Cultura), mi ha bonariamente accusato di “maltrattare” le opere; ho spiegato la mia particolare visione relativa ai segni del tempo: essi depositandosi sui dipinti divengono parte integrante dell’opera stessa e in qualche modo la “maturano”.
Inizialmente, nella mia mente è depositato un progetto che, mentre prende forma, si modifica autonomamente atttraverso l’inevitabile intervento del Caso, di cui seguo le impalpabili suggestioni.